C’è un grande dibattito sociale e giuridico su questa tematica. L’art. 32 della Costituzione al co.2 recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.” L’obbligo vaccinale è obbligatorio per legge per difterite, tetano, poliomielite, epatite B, TBC, pertosse, morbillo, parotite, rosolia, varicella, ecc.
Ad oggi, una legge per il SARS-COV–2 non è stata ancora varata, in quanto il vaccino è disponibile da solo poche settimane, e si attende ancora una vera conferma dell’efficacia sul suo impiego di massa. Alcuni giuristi, ritengono immediatamente esigibile la sottoposizione del lavoratore a vaccinazione sulla base di norme già attive nel nostro ordinamento giuridico.
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Tra queste l’art. 2087c.c., il quale obbliga l’imprenditore, pubblico o privato, ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Altri giuristi obiettano che il riferimento alla legge contenuto dall’art. 32 della Costituzione non può essere nei confronti di una norma generale, come l’art. 2087 del codice civile, ma solo verso una precisa disposizione di legge, come è stato per ogni specifico vaccino.
Inoltre il Protocollo Condiviso sulle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro contro il SARS-COV-2 del 24.04.2020, al quale fa riferimento l’art. 29 bis del D.L. 23/20 (c.d. “scudo penale per le imprese”) non accenna affatto all’obbligo vaccinale.
Non sarebbero sufficienti neppure gli art. 20 e 279 del Testo Unico sulla sicurezza negli ambienti di lavoro, in quanto norme di “durezza” inferiore al precetto costituzionale di cui all’art. 32 Cost. e comunque dette norme si riferiscono a rischi specifici della lavorazione, non ad un rischio epidemiologico generico di portata generale.
Ardua appare anche la strada di risolvere il rapporto di lavoro per impossibilità sopravvenuta, in quanto si tratterebbe non di impossibilità totale, ma nell’impossibilità parziale (art. 1464 cod. civ.) o temporanea (art. 1256, 2°co. cod. civ.), in quanto le prestazioni del lavoratore non potrebbero definirsi totalmente ed irrimediabilmente compromesse. Dovrebbe quindi verificarsi ante la impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni di pari livello e categoria, o mansioni inferiori (se il lavoratore le accetta) ex art 2103 cod. civ.
Appare auspicabile che il Governo al più presto emani, una specifica legge di obbligatorietà totale o settoriale dell’obbligo di vaccinazione avverso il nuovo agente patogeno. In difetto condivido l’opinione meramente giuridica che il rifiuto a vaccinarsi non possa legittimare la possibilità di licenziare il lavoratore.
Avv. Valter Duse
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