La pubblicazione, dopo un’attesa durata quasi sette anni, del decreto attuativo (D.M. 232/2023) della L. 24/17, cd. Gelli/Bianco, ha, di fatto, concluso l’iter di riforma della disciplina della sicurezza delle cure e della responsabilità sanitaria.
Sono stati, infatti, delineati e declinati tutti i parametri relativi alla gestione del rischio clinico ed alla modalità di assunzione della copertura assicurativa o delle analoghe misure cui sono obbligati a ricorrere sia i professionisti sanitari che le strutture sanitarie stesse, sia pubbliche che private.
Punto imprescindibile della riforma nel suo complesso è rappresentato dal perseguimento della sicurezza delle cure che si attua attraverso l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione ed alla gestione del rischio clinico nonché dall’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche ed organizzative.
Sono proprio questi due aspetti quelli che sanciscono il cambio di paradigma in tema di responsabilità sanitaria che passa, così, dalla colpevolizzazione del singolo sanitario a quella dell’organizzazione in quanto sono attività la prima, quella della gestione del rischio clinico, che compete a tutto il personale sanitario indistintamente, la seconda, quella delle scelte strategiche, che inerisce ai vertici apicali della struttura.
Si è quindi virato verso una “spersonalizzazione” dell’operato del singolo professionista, identificando nella struttura il principale responsabile dell’inadempimento, sia per fatto proprio (ex art 1218 C.C.) sia per fatto degli ausiliari (ex art. 1228 C.C.) Il dovere di una buona organizzazione e di una corretta allocazione delle risorse è strettamente legato alla corretta gestione del rischio clinico e rende conte del fatto che la struttura sanitaria in senso lato sia il responsabile preponderante dei costi di risarcimento connessi alla malpractice.
In tal senso, e cioè nell’ipotesi di una corretta allocazione delle risorse o rectius di un’oculata visione prospettica va letto, ad esempio, l’art 9, comma 2 del D.M. 232/23 laddove si specifica che la scelta di operare mediante assunzione diretta del rischio deve risultare da apposita delibera approvata dai vertici della struttura sanitaria …” che obbliga il vertice della struttura a giustificare la propria opzione in un senso piuttosto che in un altro”.
Del resto la letteratura scientifica più recente e maggiormente accreditata in tema di gestione del rischio clinico afferma che la gran parte degli errori in medicina è legata a problemi organizzativi (85%) piuttosto che ad errori del singolo (15%) che si possono qualificare, quasi esclusivamente, in un facere errato (imperizia tecnica).
Si tratta quindi soprattutto dei cd. errori latenti riconducibili a fattori gestionali ed organizzativi, ambientali, fattori legati alla composizione dei team, al compito affidato, alle caratteristiche del paziente e solo in minima parte al singolo operatore.
Dall’analisi della giurisprudenza, peraltro, emerge sempre più forte la consapevolezza che la società odierna è caratterizzata da rischi e complessità tali per cui proibire le attività pericolose risulterebbe impraticabile. Un divieto del genere, pur eliminando il rischio di danni a beni fondamentali, causerebbe all’economia e alla società danni di gran lunga maggiori di quelli che si intenderebbero prevenire.
È importante notare al riguardo che alcune decisioni hanno decisamente virato verso un carattere oggettivo della responsabilità delle aziende sanitarie (intese come imprese) in caso di carenze organizzative.
Si è giunti ad affermare che l’operato di una struttura sanitaria deve seguire criteri di organizzazione e gestione differenti da quelli che regolano l’attività del singolo medico. Da ciò si è fatto derivare una specifica responsabilità dell’azienda qualora non adotti standard operativi rigorosi, modellandosi su criteri di natura oggettiva.
Di conseguenza, l’impegno del legislatore si è andato via via concentrando sulla gestione di questa complessità, attraverso il controllo e la riduzione dei fattori di rischio entro limiti accettabili. L’art. 7 della legge Gelli Bianco, prima ancora della normativa d’attuazione sopra richiamata, riflette dunque una sorta di approdo.
Da esso si deduce che, sebbene sia responsabilità della struttura sanitaria organizzare e fornire tutte le risorse umane (collaboratori) e materiali (strutture, apparecchiature diagnostiche, strumenti chirurgici, ecc.) necessarie per l’adeguata esecuzione della prestazione, il presupposto di base è che, anche quando l’errore è direttamente attribuibile al medico, la causa originaria e precedente risiede nella struttura stessa.
Quest’ultima, infatti, ha permesso al sanitario di commettere l’errore, in linea con il principio, filosofico prima ancora che giuridico, della molteplicità dei fattori che concorrono agli errori umani all’interno di sistemi complessi.
A questo punto, sorge una questione complessa: quale sia esattamente il livello organizzativo “ottimale” per poter considerare insufficiente quello effettivamente fornito dalla struttura sanitaria.
In questo ci vengo in aiuto le analisi condotte attraverso l’esame della normativa sanitaria confrontata con i risultati di studi aziendali sul “risk management”, indagine che permette di identificare, all’interno di un’organizzazione con problemi o disservizi, le possibili cause di un’errata prestazione sanitaria e, in definitiva, di affermare che la responsabilità dell’ente può derivare unicamente da gravi e colpose carenze organizzative della struttura ospedaliera stessa (si pensi a Cassazione penale, sezione IV, nella sentenza n. 46336 del 10 novembre 2014, che ha escluso la responsabilità del medico qualora la struttura presenti delle mancanze).
Tenuto conto di queste considerazioni è quindi evidente come il legislatore abbia normato la creazione, all’interno di ogni struttura sanitaria, della cd. “Funzione valutazione sinistri” (art. 16 D.M. 232/23 “Funzione per il governo del rischio assicurativo o valutazione dei sinistri” per consentire il cambio di passo dal “chi” al “come e perchè”.
Tale organismo ha delle competenze “minime”, esterne od interne alla struttura stessa, che devono essere obbligatoriamente garantite e sono rappresentate dalla presenza, al suo interno, di un medico legale, di un loss adjuster (competenze liquidative), di un avvocato od analoga figura con competenze giuridiche e di un gestore del rischio.
La stessa composizione di questo organismo ha una vocazione – propensione multidisciplinare in linea con la funzione che gli viene attribuita dal legislatore e che è, perfettamente, in linea, con il principio ontologico della riforma.
Infatti la “funzione valutazione sinistri” partecipa, in caso di richiesta risarcimento danni, a tutto l’iter procedurale che prevede l’analisi della correttezza della richiesta, l’eventuale strategia risarcitoria ed infine la partecipazione all’iter giudiziale se del caso.
Ma l’analisi della richiesta risarcitoria rappresenta solamente l’ultimo step di un articolato percorso, teso alla sicurezza delle cure, che inizia, appunto, anche da una corretta gestione del rischio clinico.
La composizione multi disciplinare, ed in particolare la competenza afferente alla gestione del rischio clinico, è fondamentale nell’attenuazione del rischio stesso, andando così ad incidere sul rating della struttura stessa, attraverso la riduzione dei sinistri.
In questo modo, al momento della stipula di una polizza, sia che si opti per una modalità tipo SIR sia che si scelga il trasferimento globale del rischio alla Compagnia, il contraente cioè la struttura potrà ottenere un contratto maggiormente vantaggioso.
Nell’ottica poi di favorire la trasparenza e la scelta dell’utente l’art 7 del D.M. prevede la pubblicazione da parte della struttura sanitaria dei dati relativi ai risarcimenti liquidati nell’ultimo quinquennio e riferibili a lesioni personali, decessi, violazione della disciplina in materia di trattamento dei dati personali, violazione del consenso legato ad ogni tipo di esercizio di una professione sanitaria, con un bypass di confondimento legato, per esempio al numero di attività svolte laddove una struttura particolarmente attiva potrebbe risultare poco virtuosa rispetto ad un’altra meno attiva e quindi più virtuosa.
E’ quindi evidente che tutto il sistema di riordino della responsabilità sanitaria ruota intorno alla sicurezza delle cure che ha tra i suoi elementi fondanti una corretta gestione del rischio, clinico ma anche organizzativo, strutturale. Il legislatore nel dicembre 2023 all’ art. 18 si è dato come limite temporale per l’adeguamento delle strutture sanitarie ai “Requisiti minimi di garanzie e condizioni di operatività delle misure analoghe” un lasso di tempo di 24 mesi, cioè a dicembre 2025.
Entro tale limite temporale le strutture dovranno adeguarsi, al dettato normativo soprattutto con un’idonea gestione del rischio clinico che, allo stato attuale, appare nettamente deficitaria, soprattutto per le strutture private in quanto le Aziende sanitarie hanno al loro interno delle strutture operative semplici o complesse deputate alla gestione del rischio.
Prova della carenza di tale gestione è riscontrabile nella pratica medico – legale relativa al contenzioso, indipendentemente dal ruolo rivestito, ossia consulente d’Ufficio ovvero di parte convenuta o attrice, ove capita di imbattersi molto spesso in cartelle lacunose, in consensi informati non raccolti o raccolti in forma incompleta, in attività cliniche in cui è carente l’adesione a protocolli ormai standardizzati.
Se, come accennato, l’articolo 7 della legge Gelli Bianco riconosce che la responsabilità per gli esiti negativi in ambito medico non è da attribuirsi unicamente all’operato del singolo professionista (pur prevedendo una sua responsabilità diretta in caso di errori particolarmente gravi), allora le cause andranno ricercate nell’organizzazione complessiva delle strutture sanitarie e nei processi di diagnosi, cura o assistenza adottati.
Di conseguenza, il compito di chi è chiamato ad interpretare e giudicare gli eventi di responsabilità sanitaria consisterà nel valutare le cause, non tanto focalizzandosi sul singolo comportamento del medico, quanto piuttosto sull’insieme delle carenze organizzative presenti nel sistema.
In riferimento alla cartella clinica (in senso lato) va ribadito, una volta di più, che la sua completa ed esauriente compilazione è un mezzo fondamentale per dimostrare la correttezza dell’iter clinico – diagnostico terapeutico del paziente.
Il consenso informato deve essere visto come “un tempo di cura” e non, invece, come una perdita di tempo, anche perché è ormai patrimonio culturale comune che un rapporto medico – paziente corretto attenua l’eventualità del contenzioso anche in caso di malpractice.
Per quanto concerne, invece, l’attività clinica in senso stretto, nell’ambito di una struttura più o meno complessa, non si può più, in caso di malpractice, analizzare esclusivamente il comportamento del singolo ma deve essere preso in considerazione tutto l’iter sanitario.
La gestione del rischio clinico inizia, infatti, con il rispetto di procedure/protocolli che si devono attuare sin dal primo contatto dell’utente con la struttura stessa, se non addirittura prima.
E’ ovvio che tale nuovo prospettiva fa sì che le figure apicali, titolari della struttura, direttore sanitario, siano sempre più coinvolti nelle scelte strategiche della struttura, non ultima quella della nomina della funzione valutazione sinistri che non può portare che elementi di miglioramento nell’offerta sanitaria.
Parimenti, anche la “visione” del medico – legale dovrà uniformarsi al cambio di paradigma voluto dal legislatore, andando ad analizzare nei casi di responsabilità sanitaria tutta la catena causale, ricercando sia le cause profonde che i fattori contribuenti con attribuzione di responsabilità proprie ad ogni componente del team.
Da questa disamina, certamente incompleta per questioni di spazio, emerge forte la necessità per ogni struttura di avere nel proprio organico (cosi come previsto dal D. 232/23) un legale con competenza in tema di diritto assicurativo e di responsabilità sanitaria, un consulente esperto nelle liquidazione del danno ed infine le due figure chiave per ridurre, da un lato, la probabilità di accadimento dell’errore e cioè il risk manager e dall’altra il medico – legale, capace di valutare la veridicità dell’addebito contestato alla struttura e di seguire poi tutto l’iter stragiudiziale ed eventualmente giudiziale.
Dott. Enrico Ciccarelli
Consigliere nazionale SIOF
Medico – legale
Master di II livello in Gestione del Rischio Clinico
Avv.to Michele Lucca
Consigliere nazionale SIOF
Diritto delle Ass.ni e della responsabilità civile, professionale sanitaria