Gli Ordini professionali di fronte alla tiepidezza del legislatore

La campagna vaccinale anti covid i cui dati divulgati dalla Federazione degli Ordini dei medici e degli odontoiatri depongono per una grande adesione da parte di medici e di odontoiatri, in alcuni territori ha manifestato preoccupanti rifiuti che suscitano seri interrogativi. Riferiscono i giornali che a Brindisi, a Pavia, ma anche in altre zone d’Italia si è riscontrato un sorprendente rifiuto di medici, di infermieri, di operatori sanitari a sottoporsi alla vaccinazione e nei loro confronti sono scattati i primi provvedimenti: allontanamento dall’attività e ferie forzate. Rispetto alla soluzione drastica del licenziamento come reazione del datore di lavoro al rifiuto del lavoratore di vaccinarsi si è preferita la sospensione del rapporto, strategicamente orientata alla conservazione del posto.

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Le ferie forzate rappresentano infatti una soluzione cauta in quanto allontana provvisoriamente il rischio ma, nel contempo, meditata in quanto informata ad una appropriata logica promozionale di suscitare nel lavoratore una riflessione per una sua spontanea adesione al vaccino, nella consapevolezza che, persistendo nel rifiuto, la reazione potrebbe essere draconiana.

Un ripensamento adesivo sarà però difficile nel popolo dei no vax, nel quale si iscrivono non pochi operatori sanitari tra cui anche frange di medici e di odontoiatri. Per quanto il loro numero sia modesto, è sufficiente a generare grande allarmismo nei cittadini già notevolmente disorientati da un’informazione poco accorta come si è avuto modo di assistere per il vaccino di AstraZeneca. L’obbligatorietà per legge del vaccino per tutta la popolazione avrebbe potuto essere un segnale forte.

Il Legislatore si è però dimostrato tiepido. Nel D.L. di aprile ha infatti introdotto l’obbligatorietà del vaccino solo per il personale sanitario, ma per coloro che lo rifiuteranno ha previsto semplici sanzioni sospensive, economiche e di carriera.

Da molte parti ci si chiede allora se, a fronte della previsione dell’art. 4 del nuovo D.L. 1° aprile 2021 n.44, il datore di lavoro possa ancora pretendere che un proprio dipendente si sottoponga a vaccinazione messa a disposizione dal SSN, ma soprattutto se sia lecito licenziarlo in caso di rifiuto?

La tiepidezza del legislatore e la sua risposta negativa, dimostrano tutta la sua incapacità nella gestione della pandemia e non solo in questa. Eppure, voci di autorevoli studiosi come Ichino, Guariniello, Pellicani, Buccelli avevano risposto affermativamente alla domanda con argomentazioni chiare e condivisibili di natura giuridica e solidaristica, ancorché il vaccino anti covid non fosse ancora obbligatorio. Il loro argomentare muove dall’obbligo di ogni lavoratore di “prendersi cura della propria salute e sicurezza”, cui fa da dovere speculare quello del datore di lavoro di “prevenire i rischi derivanti dal luogo di lavoro” ed è coniugato in  chiave solidaristica: il lavoratore e più che mai se medico, odontoiatra o operatore sanitario, neppure a fronte dell’art 32 della Costituzione secondo il quale nessuno può essere costretto ad un trattamento sanitario, può decidere di mettere a repentaglio l’incolumità altrui.

Il prestatore di lavoro, specie se opera in ambiente a rischio come ospedali, ambulatori medici, studi odontoiatrici privati, RSA, è tenuto a conformarsi alle misure adottate dal datore di lavoro quando siano ragionevoli, in quanto aderenti alle indicazioni condivise della comunità scientifica. La Sars Cov-2 è classificata come virus patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3. Essa determina quindi un rischio da esposizione ad agente biologico, in relazione al quale l’art. 279 del D.lgs. 81/2008 sulla sicurezza del lavoro obbliga il datore di lavoro a mettere a disposizione dei lavoratori vaccini efficaci. Se dunque il vaccino è stato offerto e il lavoratore lo ha rifiutato, non c’è chi non veda come la sua condotta assuma rilevanza sul rapporto configurando un grave inadempimento e fin anche una giusta causa di licenziamento. Il dovere di vaccinarsi può nascere infatti da un contratto di diritto privato che obbliga datore di lavoro e lavoratore a realizzare le condizioni di massima sicurezza e igiene in azienda a beneficio di tutti.

L’art. 4 del nuovo D.L. non sembra pensarla così e sembra voler riconoscere anche i diritti dei no vax. Sorvolando sulla tiepidezza manifestata nel nuovo D.L. dal Legislatore, nessuno intende mettere in discussione il diritto di non vaccinarsi. La magna carta è chiara. Anche i medici e gli odontoiatri ne hanno tutto il diritto. A una condizione: si tolgono il camice e vanno a fare altro. Il giuramento di Ippocrate non consente loro di continuare a far parte del consesso medico o del consesso odontoiatrico. Il medico, sia egli un chirurgo o un odontoiatra, che è contro i vaccini non è un medico. È una persona che non crede nella sua professione, nella sua missione fondata sulla scienza e sull’evidenza scientifica.

È un medico che ha rinnegato il giuramento di Ippocrate perché il camice è uno solo. La sua condotta disattende infatti il precetto dell’art. 3 del codice di deontologia che prescrive quale primo dovere quello della tutela della vita e della salute psico fisica. La sua condotta nega quanto prescrive l’art. 14 non solo perché il vaccino è uno strumento valido e semplice per tutelare sé stesso, ma soprattutto per proteggere i cittadini che non possono rischiare di infettarsi proprio dal loro medico, dal loro dentista o dal personale sanitario con cui vengono a contatto. Il rifiuto del vaccino contraddice la posizione di garanzia che grava su di loro e disattende il dovere di esercizio fondato sui principi di efficacia e appropriatezza come scolpito nell’art. 6 del CdM. La loro condotta costituisce un messaggio negativo, un’informazione che alimenta timori e incertezze di cui il Paese non ha bisogno, ma soprattutto crea un pregiudizio dell’interesse generale che viola l’art. 55 del CdM. Il venir meno a questi obblighi, non vaccinandosi, costituisce ben di più che una semplice infrazione disciplinare. Costituisce un conflitto insanabile tra condotta e giuramento, tra scelta negazionista e appartenenza alla comunità medica, tra la fiducia che il camice infonde e l’indossarlo a tradimento.

Nella sua tiepidezza sembra averlo colto anche il Legislatore. Con il nuovo D.L. pur depotenziando il potere sanzionatorio del datore di lavoro, ha attribuito agli Ordini sanitari una nuova funzione comunicativa e di controllo: per medici e odontoiatri che rifiutano il vaccino ha previsto la sospensione di diritto di svolgere mansioni o prestazioni che implicano contatti interpersonali o comportano il rischio di diffusione, mantenendola fino all’assolvimento dell’obbligo. Gli Ordini sanitari sappiano dunque assolvere al ruolo che loro compete, sappiano difendere la professione e sappiano farlo fino in fondo dicendo chiaramente a chi non crede nella medicina dell’evidenza, a chi non crede nei vaccini, a chi ritiene il giuramento di Ippocrate un mero simulacro che ha il diritto di non vaccinarsi, ma appende il camice e va a fare altro.

Avv. Roberto Longhin

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