Il consenso del minore riveste un particolare interesse in ortognatodonzia, dovendo operare per lo più su minori e adolescenti.

La necessità di rispettare l’opinione del minore ci porta a riferirci alla più generale partecipazione al consenso di quest’ultimo negli atti sanitari che lo riguardano, affrontando talora problematiche di alta drammaticità che coinvolgono il minore in questioni che condizionano la sua vita.

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In una società di diritto, al momento della nascita si acquisisce la capacità giuridica, indipendentemente da sesso, religione, o stato sociale. Ciò riconosce all’individuo la titolarietà dei suoi diritti e doveri (art 1 cc) . di cui però potrà disporre autonomamente solo a partire dalla maggiore età. Il minore si avvale dell’istituto della rappresentanza e si affida ad un altro soggetto che agisca in sua vece ( art. 2 cc ).

Il confine legislativo sancito dall’ art. 2 in alcuni casi lascia più spazio all’autodeterminazione del minore in temi quali  contraccezione, interruzione di gravidanza, cure delle tossicodipendenze, accertamenti della infezione da HIV, consenso al matrimonio, riconoscimento di un figlio naturale, riconoscendo  lo stato di minore emancipato (dopo i 16 anni).

Il trattamento ortodontico, al pari di qualsiasi atto sanitario, viene legittimato dal consenso dell’interessato, che nel caso di paziente minore viene dato dal genitore, il quale però non rappresenta necessariamente la volontà del figlio, ma esercita solo un potere che gli compete giuridicamente.

L’evoluzione dei rapporti famigliari e il sempre più attento rispetto della volontà del malato in campo sanitario ha progressivamente fatto emergere il principio della autodeterminazione del minore capace di discernimento.

I limiti cronologici entro cui si riconosce una naturale capacità di comprensione distinguono dagli altri il minore prossimo alla maggiore età. Nella quotidianità, già a partire dai 12 anni è riconosciuta una capacità di autogestione che consente di  accedere non accompagnati ai giochi, o a contenuti vietati al di sotto di quest’età, ad esempio. Il principio di autodeterminazione del minore è riconosciuto a compimento dei quattordici anni, dopo infatti l’adolescente può essere definito “grande minore”, ossia in grado di orientare le proprie scelte pur non essendo maggiorenne.

Vari sono i riferimenti ad organismi internazionali che si sono pronunciati sul diritto del minore ad esprimere la sua opinione quando interessato, e vi sono specifici riferimenti giuridici nella nostra legislazione in merito ai diritti del minore alla sua autodeterminazione. Si cita, fra tutti, l’Art.315 bis cc. “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito, assistito dai genitori nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio che abbia compiuto gli anni 12 o anche di età inferiore se capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.”

Sullo stesso tema troviamo riferimenti anche nel Codice di Deontologia Medica, l’art. 35 dice: “Il medico, compatibilmente con l’età , con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguata informazione al minore e di tenere conto della sua volontà.”

La formalizzazione del consenso è però diversa dalla formazione del consenso. Il secondo dovrebbe essere costruito sulla base delle informazioni prestate dal sanitario, dalla convinzione di chi esercita la responsabilità genitoriale e nel rispetto dell’opinione del minore.

La centralità dell’interesse del minore chiama la figura del legale rappresentante (genitore, tutore o curatore) ad una valutazione globale che non si limita all’opportunità del trattamento e che deve tener conto dell’equilibrio psico-fisico del minore e delle sue inclinazioni e necessità.

Il sanitario, responsabile dell’informazione e custode del consenso, non avrà un ruolo soltanto illustrativo, ma dovrà rendersi conto il più possibile di personalità e aspettative del minore, ponendosi come una figura di fiducia e riferimento e cercherà di appurare il suo grado di maturità, ricorrendo in casi particolari alla valutazione di uno psicologo, illustrerà in termini comprensibili le finalità del trattamento e le sue modalità di conduzione, esponendo con onestà i disagi che comporta e il grado di collaborazione richiesto. In caso di dissenso, il sanitario cercherà di comprendere se ciò sia frutto di superficialità e disinteresse o sia motivato da giustificate esigenze. Per il minore, esprimere la propria opinione non equivale  a farla valere, ma rimane un essenziale mezzo di affermazione della sua volontà.

In caso di mancata volontà ad intraprendere il trattamento, il sanitario dovrà sconsigliarlo o astenersi dall’effettuarlo. Il dissenso, ragionato o emotivo che sia, comporta in ogni caso problemi pratici. Condurre un trattamento in situazioni di resistenza o di mancata collaborazione del paziente è controproducente. In tali situazioni anche se i genitori hanno dato il loro consenso, è preferibile attendere una maggiore convinzione del minore, o scegliere l’utilizzo di apparecchiature più consone alle sue esigenze.

È quindi necessario, per intraprendere il trattamento, disporre del consenso dei genitori e della convinzione del minore. Il rispetto della volontà del suddetto, tuttavia, è riconosciuto solo quando la sua opinione corrisponda a quello che viene ritenuto il suo migliore interesse, mancano quindi i presupposti essenziali per una sua reale autodeterminazione.

Sarebbe estremamente utile disporre di un modulo adeguato per interpretare la volontà del minore e documentare la sua libera adesione alle cure e di  specifiche linee guida che garantiscano l’esercizio professionale nel rispetto delle volontà in gioco.

Franco Pittoritto

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