La pandemia che ci ha coinvolto nell’ultimo anno e mezzo, uno dei periodi più difficili vissuti dal nostro paese dal secondo dopoguerra, ha inevitabilmente segnato le nostre vite portando dei cambiamenti che sicuramente continueranno ad influenzare le nostre abitudini future.

Anche lo scenario lavorativo è stato profondamente colpito. I datori di lavoro hanno dovuto rivedere radicalmente i propri assetti organizzativi per riuscire a far fronte alle esigenze produttive, garantendo allo stesso tempo tutte le precauzioni e misure necessarie a salvaguardare la salute e la sicurezza dei dipendenti e fronteggiare la diffusione del virus.

In questo contesto lo smart working, detto anche lavoro agile, si è rilevato uno strumento fondamentale, almeno per quelle figure professionali per le quali la presenza non è indispensabile.

Nell’arco di poche settimane, se non in alcuni casi addirittura di pochi giorni, grazie ad un ampio utilizzo dei mezzi e strumenti tecnologici, sono riusciti a fare in modo che migliaia di dipendenti potessero lavorare da casa.

Ci si è ben presto resi conto, tuttavia, che investire solamente sugli strumenti informatici non era sufficiente.

Diversi dipendenti si sono ritrovati a lavorare all’interno delle proprie mura domestiche, in spazi ridotti e molto spesso condivisi con gli altri membri della famiglia e comunque non certamente concepiti per essere utilizzati come ufficio.

Per molti, inoltre, lo smart working è stato qualcosa di molto più simile al telelavoro, con orari che in realtà spesso combaciavano con quelli normalmente svolti in presenza prima della pandemia, segnandone in alcuni casi anche una dilatazione (ricordiamo che lo smart per definizione non prevede precisi vincoli di orari).

Si è compreso quindi che, in assenza delle adeguate precauzioni, si rischiava di varcare il confine tra vita lavorativa e vita personale ed affinché il lavoro agile fosse positivo e produttivo, era inevitabile un investimento anche da parte dei datori di lavoro.

Per questo motivo diverse aziende ed imprenditori, dei quali riportiamo alcune testimonianze, hanno adottato soluzioni per poter alleviare le difficoltà riscontrate dai propri dipendenti. C’è chi ha proposto interventi specifici per gettare le basi di questa nuova modalità di lavoro e chi poi ha previsto programmi di supporto con psicologi e attività online legate allo sport, alla medicina preventiva e al benessere.

“Per aiutare le persone in questa nuova situazione, abbiamo messo a disposizione alcune funzionalità avanzate di Meet – spiegano da Google Italia – e abbiamo pubblicato per esempio alcuni consigli per rimanere produttivi: creare uno spazio in casa dedicato all’attività lavorativa, usare al meglio le videoconferenze, pianificare gli impegni e organizzarsi in modo chiaro per separare il tempo di lavoro dal tempo libero”.

 Oltre ad aiutare i nostri dipendenti attraverso team coaching per capire come lavorare in maniera diversa, – afferma Maria Grazia Bizzarri head of people development, reward and change Nexi – abbiamo preparato anche dei percorsi formativi ad hoc e previsto pacchetti di counseling psicologico, con adesione anonima, di ginnastica online, oltre a prevedere la possibilità di incontrarsi durante momenti ludici virtuali. In questo modo abbiamo cercato di aiutare le persone a 360°, sopperendo anche alla mancanza di socialità che lo smart working porta con sé“.

Non tutti hanno interamente chiuso gli uffici. Diverse realtà hanno infatti previsto, compatibilmente con le norme anti-contagio, la presenza alternata dei lavoratori attraverso la prenotazione del proprio posto in ufficio. È il caso, ad esempio, di Luxottica che ha creato un’apposita app per registrarsi e prenotarsi, mettendo in piedi un sistema di prevenzione dei contagi sia negli uffici sia nelle fabbriche (dove la presenza fisica era richiesta), con la possibilità per i dipendenti e i loro familiari di sottoporsi al tampone quando ritenuto necessario.

Un’altra difficoltà affrontata dai lavoratori durante lo smart working è stata quella relativa alla conciliazione tra gli impegni lavorativi e quelli familiari. Molte famiglie si sono infatti ritrovate a dover gestire anche le lezioni dei bambini e dei ragazzi in Dad, complicando ulteriormente l’organizzazione del proprio lavoro. Per far fronte a queste criticità, i datori di lavoro più sensibili a questi aspetti hanno deciso di rendere più flessibili gli orari dei propri dipendenti con una particolare attenzione per i genitori.

“Con il sindacato – afferma Ilaria dalla Riva di Vodafone – abbiamo lanciato il ‘parental leave’, una misura che nasce dal riconoscimento della genitorialità anche per i papà, che possono avere fino quattro mesi di congedo retribuiti al 100% dello stipendio”.

Al netto di quelle che sono state gli ostacoli riscontrati, soprattutto nella fase inziale, lo smart working in generale è stato comunque molto apprezzato dai lavoratori.

I sondaggi evidenziano che i dipendenti vorrebbero avere la possibilità di continuare a lavorare da casa anche dopo la pandemia, in una modalità ibrida, che preveda per due/tre giorni alla settimana la presenza in ufficio ed il lavoro da casa o altri luoghi per il resto del tempo.

“Le nostre persone erano già abituate a lavorare in modalità agile e le survey che abbiamo condotto durante il lockdown confermano il loro gradimento”, riferisce Nozza di Accenture.

Dall’ultima survey, a fine novembre, è emerso che lo smart working è estremamente gradito ai nostri dipendenti ed è una strada di non ritorno”, concorda Recchia di UniCredit.

È utile evidenziare inoltre che i lavoratori che hanno avuto la possibilità di lavorare in smart working non solo hanno risparmiato il tempo ed il denaro che normalmente impiegavano per gli spostamenti necessari a raggiungere il luogo di lavoro, ma in media hanno guadagnato anche di più.

“Durante la pandemia di covid 19, – evidenzia un rapporto della Banca d’Italia dello scorso gennaio – rispetto ai lavoratori non in smart working, la retribuzione di quelli che hanno svolto il lavoro da remoto è stata superiore del 6 per cento, riflettendo in larga parte il maggior numero di ore lavorate (in media, due ore alla settimana, pari a circa il 6 per cento): controllando per il numero di ore lavorate, il differenziale nella retribuzione non è invece significativo”.

Sorge ora spontanea una domanda… come si lavorerà dopo la pandemia?

Se imprese come Twitter, Microsoft e Spotify conceranno ai propri dipendenti la possibilità di lavorare in smart working anche dopo la pandemia, altre realtà, anche ‘Big Tech’ come Facebook, Apple e Google per il momento manterranno lo smart working al 100% soltanto fino all’estate 2021.

Gran parte degli imprenditori concordano comunque sul fatto che il lavoro agile sia uno strumento di lavoro fondamentale, ormai irrinunciabile e per questo da implementare rispetto ai tempi pre covid.

Dominerà un nuovo modello, il cosiddetto ‘new normal’, un misto di lavoro a distanza ed in presenza.

“L’attuale smart working full time – fa notare Recchia di UniCredit – non è verosimile una volta passato il covid. Noi però stiamo pensando a un’evoluzione del modo di lavorare che combini la presenza fisica e quella virtuale. É chiaro che il lavoro agile piace ed è stato chiesto anche per il futuro. Noi continueremo a proporlo ma non al 100%. In generale lo smart working sarà molto più diffuso nel futuro”.

 Verranno stipulati nuovi accordi e contratti che disciplinino in maniera più definita questo nuovo modo di lavorare. Già diverse realtà hanno raggiunto insieme ai sindacati un accordo sullo smart working che prevedono l’adozione del lavoro agile all’80% o al 60% dell’orario di lavoro mensile, in particolare per le attività di assistenza al cliente.

Ma visto che molti dipendenti avranno la fortuna di lavorare, almeno in parte, da casa, cosa ne sarà dei grattacieli e palazzi delle grandi città dedicati oggi agli uffici?

Anche se al momento nessuno conferma di voler eliminare alcuni dei propri uffici, il new normal porterà senza dubbio a una ridefinizione degli spazi che verranno ridimensionati o comunque riadattati alle nuove esigenze.

“Al momento non ci sono piani sull’abbandonare i nostri palazzi, nessuna decisione è stata presa in questo senso – precisa Recchia di UniCredit -, la situazione attuale è confermata anche se i luoghi dove siamo saranno sicuramente ripensati. Il ‘lavoro ibrido’, con un giusto bilanciamento tra smart working e presenza in ufficio, avrà bisogno di altri spazi”.

Va in questo senso anche il piano di Accenture Italia che ha investito 360 milioni a livello nazionale nel programma Forward Building: “Proprio qualche giorno fa abbiamo celebrato il raggiungimento della prima milestone con il posizionamento dell’insegna sulla torre di Via Bonnet a Milano – afferma Nozza -. I Forward Building capitalizzano quanto vissuto in questi mesi, puntando sulla combinazione tra un modello di lavoro altamente flessibile e un luogo fisico che riafferma la propria rilevanza nella vita personale e professionale di tutti coloro che lo frequenteranno. Un posto dove favorire l’aggregazione tra i diversi team, alimentare il senso di appartenenza dei nostri talenti e stimolare la progettazione di soluzioni innovative al fianco dei nostri clienti“.

Infine, un ulteriore aspetto da considerare e per il quale sono già previsti degli investimenti, seppur al momento senza progetti chiari, è quello degli spostamenti.

Si è infatti constatato che la riduzione della mobilità imposta dall’emergenza sanitaria ha portato, anche se in misura non ancora sufficiente, alcuni miglioramenti a livello di inquinamento con una ricaduta positiva sulla qualità della vita di chi vive in città.

Affinché nel post pandemia vengano ridotte le emissioni e ci possa essere, come ci auguriamo, un decongestionamento del traffico è indispensabile che venga resa possibile una nuova mobilità. E se parlare di condivisione dei veicoli è ancora prematuro, nel post coronavirus una strada percorribile sembra essere quella del ‘green’.

“Abbiamo già in essere accordi di questo tipo – sottolineano da UniCredit – e continueremo a investirci. Il tema della sostenibilità ambientale ci è caro”.

Alcune realtà metteranno a disposizione dei propri dipendenti flotte di e-bike per andare al lavoro, e altre ancora prevedono di introdurre in organico figure dedicate a questi aspetti: “Stiamo cercando un mobility manager da inserire all’interno dell’azienda – annunciano da Nexi -, proprio perché vorremmo acquisire questa competenza e farla nostra”.

Dagli scenari affrontati è facile quindi immaginare come lo smart working continuerà a far parte della nostra cultura lavorativa anche nel periodo post pandemico. Vivremo una nuova normalità in cui gli strumenti che la comunicazione digitale ci mette oggi a disposizione faranno sempre più parte della nostra quotidianità.

Basti pensare a quanto applicazioni come Whatsapp si sono rivelate indispensabili nella gestione dei rapporti e delle relazioni personali. Quasi tutti, anche quelli più anziani, dispongono oggi di smartphone con videocamera ed hanno imparato ad usare le videochiamate per tenersi in contatto con propri familiari.

Anche nell’informazione e nella comunicazione sanitaria gli strumenti tecnologici sono stati fondamentali.

Con la pandemia abbiamo assistito al diffondersi della telemedicina, che rappresenta oggi l’evoluzione della medicina tradizionale.

Attraverso tecnologie informatiche e della comunicazione si sono superati gli ostacoli spazio-temporali consentendo l’erogazione della cura e dell’assistenza ai pazienti anche a distanza. È stato possibile scambiare informazioni utili alla diagnosi, al trattamento, alla prevenzione, alla valutazione e al monitoraggio delle condizioni patologiche aumentando in questo modo la soddisfazione del paziente e rafforzando la relazione ed il rapporto di fiducia con il proprio medico che, nonostante le difficoltà, ha preso a cuore e si occupato della sua salute…

Prof. Antonio Pelliccia – Arianto srl

 

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