Sabato 26 maggio 2018 alle ore 10 si è celebrata la santa Messa nella basilica della Consolata di Torino. Iniziata così la mattinata di un gruppo di “ragazzi” che, dal ‘52 al ‘58 seppero superare gli anni duri e difficili postbellici, per concludere con la laurea in Medicina e Chirurgia nella prestigiosa università di Torino. Festeggiare il 60° di laurea non è da tutti, ma loro sono speciali perché si tratta di un gruppo mitico e compatto che ha saputo ritrovarsi sempre ogni cinque anni.

Era il periodo in cui il miracolo economico doveva ancora cominciare, ma il treno del sole portava già a Torino operai del sud e la Fiat dava lavoro a tanti. Avvenne così che questo gruppo di studenti si amalgamò fino a creare via via un’unione sempre più forte e indissolubile negli anni a venire.

Non vi erano differenze di censo, di condizioni economiche, di provenienza familiare, anzi ci fu subito un’estrema partecipazione nell’aiutarsi a vicenda e nel condividere. Si formò un’apertura mentale e un grande stimolo allo studio nel rispetto dei valori etici e morali. Addirittura questo gruppo sentì subito la necessità di eleggere all’unanimità un capo corso, lo studente Ottavio Losana, per il carisma, la stima e il rispetto che tutti avevano per lui e ancora oggi viene chiamato “Capocorso”.

Il prof. Damaso Caprioglio conserva l’entusiasmo dello studente e ci racconta di un “atto di altri tempi” con personaggi di alto spessore medico e scientifico.

Prof. Caprioglio, lei che fa parte del gruppo ed è la memoria storica, ci vuole raccontare come è cominciata questa bella avventura? Iniziammo a frequentare l’Università degli studi di Torino alla facoltà di medicina e chirurgia il 2 novembre 1952. Eravamo oltre 140 studenti ma ogni biennio, se non si superavano tutti gli esami, non si poteva passare agli anni successivi, per cui nell’arco di pochi anni rimanemmo solo 80 studenti in regola con gli esami. Per buona parte venivano da tante località piemontesi e qualcuno anche da lontano: da Trieste, da Vicenza, dal Sud, perché avevano dei parenti che li potevano ospitare. Molti di noi avevano pochissimi mezzi e qualcuno riuscì a vincere il concorso al collegio dello studente, dove aveva vitto e alloggio purché mantenesse sempre la media del 30 o del 30 e lode! Qualcun altro affittava una camera nei dintorni del Valentino (lì c’erano tutti gli istituti dei primi tre anni), da condividere con un amico. Molti arrivavano dalla campagna piemontese e come figli della terra mantennero sempre le caratteristiche di laboriosità, impegno e dedizione al lavoro; d’altronde l’etimo terra deriva da humus in latino, e quindi anche Umiltà che significa freschezza, simpatia, cordialità, onestà, abitudine al duro lavoro e condivisione. Dopo i primi tre anni di medicina, dal ‘55 al ’58, ci spostammo verso la zona delle Molinette dov’erano le cliniche, le patologie e gli esami più importanti. Nel frattempo qualcuno cominciò a diventare allievo interno all’ospedale Mauriziano, al Maria Adelaide e altri, potendo così fruire di vitto e alloggio. Ognuno pian piano cercava di indirizzarsi verso la futura specialità, ma al momento delle lezioni ci si ritrovava sempre tutti uniti, compatti e reciprocamente stimolati a ottenere sempre il massimo dei voti.

Come è nato questo gruppo così longevo? La fortuna di questo gruppo fu di trovare dei professori di grande qualità, di notevole rigore scientifico sia nei momenti di lezione ex cathedra sia nei momenti di laboratorio e delle corsie cliniche. La loro esperienza, il loro rigore ci furono di grande stimolo e di esempio. Tra i tanti ricordiamo la prof.ssa Di Giorgio di Fisiologia, il prof. Mottura di Anatomia Patologica, Biancalana di patologia chirurgica, i due professori Dogliotti e il prof. Filogamo, allora giovane assistente di anatomia che divenne poi il preside della facoltà di Torino. Poi noi, i laureati del ’58, non abbiamo disperso questi valori e, con periodicità ogni cinque anni abbiamo continuato a frequentarci. Ognuno prese strade diverse, per molti anche in città lontane o all’estero, ma il desiderio forte e prepotente era sempre di ritornare e per molti decenni si unirono anche le mogli e le famiglie. Le nostre compagne di corso erano poche, non più di 12, ma seppero subito unirsi al gruppo e molte di loro si fidanzarono e poi si sposarono con i nostri compagni di corso! Purtroppo degli 80 vecchi compagni di corso sono rimasti meno di una quarantina. La maggior parte di essi raggiunse carriere molto importanti, sei divennero professori ordinari e direttori di cattedra, ben 27 primari ospedalieri, due illustri medici scrittori e uno anche regista di film.

Sabato 26 maggio vi siete ritrovati anche per ricordare un grande Maestro. Di chi si tratta? Alla presenza della sua vedova prof.ssa Delfina Bonetti, abbiamo voluto ricordare uno dei nostri insegnanti, il prof. Rodolfo Amprino, professore di istologia e anatomia: guida severa ed incoraggiante, maestro di vita ancor più che di studio, ebbe la fortuna di avere come compagni di studi tre futuri premi Nobel: Salvador LuriaRenato Dulbecco Rita Levi Montalcini. Il prof. Amprino ebbe anche il merito di aiutare Rita Levi Montalcini a dare l’esame di maturità per poter accedere alla facoltà di Medicina, perché a quei tempi chi come lei proveniva dalle magistrali non poteva accedere alla facoltà senza il diploma di maturità classica o scientifica. Amprino fece parte della resistenza: nascondeva documenti clandestini nell’Istituto di anatomia, aiutava i partigiani e, a sua volta, fu ricercato dai fascisti che misero su di lui una grossa taglia. Fece importanti scoperte fondamentali nelle ricerche sulla crescita e sulle modificazioni del tessuto osseo e cartilagineo, che sono state anche di grande utilità per gli studi della crescita cranio-facciale e soprattutto nel campo della mineralizzazione dell’osso.

Come si sono svolti i festeggiamenti? Dopo la Messa delle 10 nella chiesa della Consolata, abbiamo consegnato una targa alla vedova del prof. Amprino e, a sua volta, ha voluto consegnare a tutti i partecipanti la foto del marito con una sua dedica. Alle 12 abbiamo concluso con un pranzo. Quindi non solo riunione di un gruppo ma anche per ricordare il loro debito e questo è veramente un atto di altri tempi. Tempi in cui esistevano Maestri che non solo avevano l’eros pedagogicus ma che ti insegnavano la generosità

Fonte: torinomedica.com

Autore: Patrizia Biancucci