Il problema, conosciuto e di antica data, si è improvvisamente ravvivato diventando virale dopo l’iniziativa del presidente SUSO, Gianvito Chiarello, di informare i colleghi sulle “grandi manovre in corso” nell’allettante terreno di caccia degli allineatori.

“Alcuni produttori – dice Chiarello   – forniscono all’ortodontista lo scanner per rilevare le impronte, lo compensano secondo un tariffario prestabilito e una copertura dei costi fissi, rendendosi disponibili anche ad erogare ulteriori benefit in cambio dell’occupazione dello studio”. Sulla base della scannerizzazione effettuata, l’azienda costruirebbe gli allineatori e li invierebbe anche a domicilio del paziente.

Di qui l’invito qualche giorno fa, del presidente SUSO ai colleghi odontoiatri” a valutare attentamente le proposte di mettere a disposizione gli studi per assistere pazienti reclutati dalle Aziende stesse con modalità poco definite e inviati ai medici per un supporto operativo. Prestate particolare attenzione – ammonisce – ai possibili profili deontologici e di responsabilità professionale”.

Aspetti, questi ultimi, sottolineati in particolare da Norberto Maccagno che in un articolo di Odontoiatria 33, riporta altre affermazioni “forti” del presidente SUSO: “I trattamenti ortognatodontici effettuati al di fuori degli studi odontoiatrici – riferisce- possono comportare gravi rischi per la salute, a causa di una possibile, erronea diagnosi iniziale, dovuta all’assenza di un approfondito esame clinico. Nonchè alla mancanza di un regolare monitoraggio terapeutico effettuato dagli specialisti della branca.”

Sugli aspetti legali “contrariamente a quanto dichiarato nelle proposte di collaborazione inoltrate ai colleghi – osserva ancora il presidente – chi apre le porte a questa tipologia di pazienti condivide la responsabilità professionale del trattamento impostato dalle aziende, oltre naturalmente a quella delle procedure operative effettuate nei loro confronti”.

Oltre alle riflessioni giuridico deontologiche ispirate da tale prassi, nella sua rubrica “Di Domenica”, Maccagno pone a se stesso e al lettore il quesito: aderendo a tale procedura il professionista non viene forse relegato al mero ruolo di prescrittore, se non (più brutalmente ndr.) di prestanome virtuale? Un interrogativo, peraltro, già avanzato anche da un commentatore della levatura di Massimo Gagliani. Il rimedio, è la conclusione, sta nel senso di responsabilità e nel rispetto della professione, che è poi quello per i colleghi e soprattutto, nel rispetto dei pazienti. Naturalmente, sottolinea Maccagno, il problema non sorge se l’odontoiatra non si presta a fare da prestanome.

La presa di posizione ufficiale della FNOMCEO non si fa attendere. A firma di Raffaele Iandolo, Presidente nazionale CAO, il 29 novembre viene diramata una lettera ai Presidenti CAO con la quale “ al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale non posso esimermi – dice Iandolo – dall’evidenziare che tale iniziativa sembra presentare elementi di criticità. In particolare va a incidere sulla dignità dell’esercizio professionale dell’odontoiatra e sulle eventuali connesse responsabilità medico-legali inerenti alla diagnosi finalizzata al trattamento o alla cura”

Dopo aver accennato all’altro aspetto “delicato” (la possibilità di un’azienda di inviare dispositivi medici su misura direttamente ai pazienti ndr.). Iandolo denuncia l’“evidente” lesione dell’indipendenza e autonomia professionale nella diagnosi e nella terapia o nella predisposizione del piano di trattamento, senza contare ovviamente che l’aspetto economico (preventivo e tariffe) verrebbe gestito da terzi anziché dal professionista.

Conclusione. Stante la rilevanza della fattispecie trattata, Iandolo promette che sarà cura della CAO NAZIONALE “intraprendere le necessarie relazioni istituzionali con il Ministero della Salute per segnalare e monitorare gli aspetti sopraccitati e altri possibili risvolti”. E, visto che il bene primario per la professione resta la tutela della salute, le singole CAO sono invitate a vigilare e a segnalare ai propri iscritti i rischi derivanti dall’iniziativa.

Sulle conseguenze legali prende anche posizione la SIOF (Società Italiana di Odontologia Forense) attraverso i pareri espressi da tre suoi illustri esponenti.

La rilevazione d’impronta delle arcate dentali anche attraverso lo scanner è un atto diagnostico quindi vincolante ammonisce Gianni Barbuti, specialista in Medicina Legale e Consigliere nazionale SIOF, mentre Gabriella Ceretti, attuale presidente della Società, accertato che la mascherina non può essere equiparata ad un’ortesi (come un tutore ortopedico) ribadisce la responsabilità dell’odontoiatra per aver fatto da tramite con la ditta. Per il past President SIOF, Pietro di Michele, è impossibile separare, con nuove formule commerciali apparentemente allettanti, le due fasi: visita, diagnosi e piano terapeutico (con prescrizione di dispositivi ad personam) da una costante ed accurata monitorizzazione della terapia.