Nell’ultimo periodo stiamo assistendo al moltiplicarsi di una serie di forzature legate alla professione. Parliamo in questo caso di allineatori trasparenti ma, dal recente passato, possiamo ricordare i sistemi fai-da-te per lo sbiancamento o la costruzione di bite anti bruxismo.
Nel caso specifico degli allineatori, il paziente viene coinvolto in prima persona da alcune aziende nel proprio trattamento ortodontico, facendo leva su costi accattivanti e metodi semplificati che escludono, in pratica, la professionalità del sanitario. Quest’ultimo infatti svolge un ruolo di semplice prestatore d’opera (nella fattispecie un’impronta digitale) pur mettendo a disposizione la propria struttura e avallando, di fatto, il rapporto diretto fra cliente e azienda. Questo delegittima l’atto di cura, rendendolo una semplice operazione manuale e traslando il rapporto medico/paziente – legato a criteri di deontologia e professionalità – a una deriva meramente a fini di lucro.
La terapia non può essere ridotta alla semplice esecuzione di manovre per fini commerciali: di esclusiva pertinenza medica, passa da una fase di diagnosi alla creazione di un rapporto empatico e di rassicurazione col paziente, comprende la presentazione di un piano di cura e di un preventivo economico, dato che il tempo dedicato alla comunicazione è parte integrante del tempo di cura. Solo dopo può iniziare la fase attiva della terapia, le sue fasi di realizzazione e di controllo, in itinere e al termine del percorso clinico.
Bypassare questi punti fondamentali della professione mette a rischio la salute dei pazienti e non esclude, per i sanitari interessati dall’iniziativa, la responsabilità legata al trattamento e alla gestione di questi particolari dispositivi medici su misura: in caso di contenzioso nessuna forma di liberatoria o manleva potrà pregiudicare la possibilità del paziente di rivalersi nei confronti del sanitario interessato, unica figura reale e professionale con cui il paziente viene a contatto. Senza contare che la promozione di apparecchiature, materiali o altro è esplicitamente vietata dal codice deontologico.
I pazienti non sono salvadanai, si tratta di persone, al centro del processo di cura. Sfruttare la forza commerciale di aziende che utilizzano messaggi pubblicitari invitanti per attirare clienti facendo leva più che altro su costi estremamente ridotti è alquanto discutibile.
L’operatore intenzionato ad aderire a tali iniziative dovrebbe considerare che saranno comunque in gioco la sua professionalità e la propria etica nel proporre un prodotto dal sapore squisitamente commerciale, a fronte di un corrispettivo economico molto limitato.
Eventuali infrazioni disciplinari, facenti capo al mancato rispetto di alcuni articoli del Codice Deontologico in tema di autonomia e responsabilità del medico, relazione di cura, conflitto d’interessi piuttosto che di altri legati ad accordi nella prescrizione, patrocinio a fini commerciali o scorretta informazione sanitaria saranno, come prevedibile, oggetto d’interesse da parte delle singole CAO, organi preposti alla tutela degli interessi di colleghi e cittadini.
L’invito ai soci è quindi quello di valutare attentamente tali proposte, considerando con lucidità tutte le implicazioni insite in questo tipo di iniziative commerciali.
Dott. Virginio Bobba – Presidente ANDI Torino
Dott. Giulio Del Mastro – Presidente AIO Torino
Dott. Fabrizio Sanna – Presidente SUSO Torino